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Il pluralismo religioso letto dai presupposti della teologia della
liberazione: un modo cristiano per affrontare il dialogo interreligioso.
Lo affermano alcuni teologi latinoamericani
Le religioni devono sottoporsi al giudizio della coscienza universale
nei loro sforzi di rivelare diritti umani e promuoverli»: così
affermava il vescovo di Algeri Henrì-Tessier riguardo alla molteplicità
:delle religioni e al loro rapporto con umanità. Un tema attuale,
su cui la elogia si interroga e su cui non man mano percorsi di ricerca
e di riflessione significativi.
Uno è quello indicato da un recente volume edito dalla Emi, dal
titolo I volti del Dio liberatore, che riprende i contributi di vari teologi,appartenenti
alla teologia della liberazione, tra cui Marcelo Barros, Luiza Tornita,
José Maria Vigil, che sono anche i curatori. Il volume è
il primo di una serie di cinque pubblicazioni curate e promosse dall'ASETT-LA
(sezione latinoamericana dell'Associazione ecumenica di teologi e teologhe
del terzo mondo) che intende in questo modo aprire una sorta di cantiere
per una riflessione approfondita su temi cruciali tra cui pluralismo religioso,
a partire dalla prospettiva latinoamericana della teologia della liberazione.
La teologia della liberazione in America Latina, infatti, ha già
segnato nella sua agenda il confronto con pluralismo religioso. A convincerla
della necessità di questo nuovo appuntamento teologico è
stato il richiamo di alcuni teologi cosiddetti pluralisti" di altri
contesti geografici - come A. Pieris e P. Knitter -, ma soprattutto il
dialogo con la sensibilità culturale e religiosa del popolo povero
dell'America Latina e le culture negate degli indios e dei neri. Scrive
al riguardo Mario Menin nella presentazione della versione italiana del
volume: «La teologia della liberazione, che fino a quel momento
aveva adottato nei confronti della diversità religiosa latinoamericana
la stessa cri-a alla religione della teologia occidentale, si inserisce
nel dialogo con religioni indigene e i culti afroamericani, come pure
con le più svariate forme di cattolicesimo popolare. Con una nuova
apertura ermeneutica nei confronti delle religioni indigene, di derivazione
precolombiana, e delle sintesi spirituali realizzate nei culti di matrice
africana, la logia della liberazione si impegna a fare una nuova esperienza
spirituale, promovendo la "spiritualità pluralismo religioso".
Non si tratta di una rivincita del politeismo, dopo secoli di monoteismo
imposto dal potere coloniale ed ecclesiastico, e nemmeno di un ritorno
archeologico alle tradizioni religiose dei neri e degli indios, bensì
di una nuova esperienza di Dio nell'orizzonte del pluralismo culturale
e religioso, percepito come volontà positiva di Dio».
L'opzione dei poveri
II confronto con le religioni non cristiane ha dunque permesso alla teologia
della liberazione (tdl) di fare un salto di qualità e di inserirsi
in quel filone più ampio che è la ricerca teologica nell'ambito
del pluralismo religioso, un vera e propria "teologia del pluralismo
religioso". Quali siano gli elementi frutto di tale incontro è
quanto tenta di evidenziare un dossier della rivista del PIME Mando e
missione.
A svolgere il tema sono stati chiamati un giovane teologo francescano
salvadoregno, Joaquin Garay, e il professore di teologia presso l'Istituto
teologico pastorale del Cearà, in Brasile, Francisco de Equino
Junior. È in particolare il primo a evidenziare la relazione tra
"teologie del pluralismo" e "teologie della liberazione".
Basterebbe un sottotitolo del suo articolato intervento per capire in
che ambito si concretizza tale relazione: «I poveri, metro di misura
delle religioni». «In questo mondo ci sono molti poveri e
molte religioni»: questo è l'assunto del teologo pluralista
Paul Knitter (un contributo il cui contenuto è presente nel volume
della Emi) che Garay riprende e valorizza per far capire la necessità
di un avvicinamento tra la tdl e la teologia del pluralismo religioso.
«Da una parte - scrive di seguito -, la liberazione perseguita sarà
veramente integrale solo se tiene conto dell'influenza della religione
nei processi di cambiamento, dato che la sua influenza come forza ispiratrice
nei popoli, in bene e in male, è indiscutibile. Dall'altro, in
un contesto terzomondista, l'incontro e il dialogo interreligioso deve
avere come uno dei temi necessari l'eliminazione della sofferenza e dell'oppressione».
L'invito di Garay e di Knitter è che il dialogo interreligioso
non rimanga un esercizio quasi accademico, ma affronti la questione della
povertà in cui si trovano a vivere tre quarti della popolazione
mondiale, dotandosi di una dimensione pratica e assumendo l'opzione dei
poveri come suo prioritario criterio.
Lassunzione di tale criterio, "con" e "per"
le vittime di questo mondo, permette infatti di essere applicato anche
come criterio ultimo di conoscenza di noi stessi, degli altri e dell'assoluto,
poiché esso «offre la possibilità di un criterio oggettivo
per giudicare se l'accesso alla verità è carente o autentico,
se una pratica religiosa è incompleta o addirittura pericolosa».
Per la tdl - ricorda Garay - i poveri non sono solo i destinatari della
sua azione, ma rappresentano il luogo privilegiato e il suo punto di par-tenza:
«Per la tdl l'opzione dei poveri non è etica, ma ha un fondamento
teologico e cristologico,si fonda su Dio stesso e sul suo amore parziale...
Dalla realtà dei poveri nascono le domande su chi è Dio,
come si rivela, con chi e davanti a chi si rivela». Risuonano al
riguardo profetiche le parole di mons. Oscar Romero: «Sono i poveri
a dire che cos'è il mondo e qual è il servizio che la chiesa
può prestare al mondo», che Garay riprende e amplia al punto
da ipotizzare che «sono i poveri a dire che cos'è il mondo
e qual è il servizio che ogni religione può prestare al
mondo».
Per una tdl delle religioni
Ne deriva l'ipotesi di una "teologia della liberazione delle religioni"
in cui i poveri - come nella tdl tradizionale - sono il "luogo teologico"
per eccellenza, dove Dio si rivela nella sua prossimità, e dunque
in grado di «smascherare le forme alienanti delle immagini di Dio
o del divino che sono alla base di essa».
Parte da qui la riflessione di Aquino Junior che afferma che «la
fede cristiana prende carne sempre nel rovescio del tempo e del luogo,
dunque nella sua periferia (la Galilea), nelle sue vittime... Incontro
e dialogo tra le varie tradizioni religiose della nostra epoca sono un
imperativo impostori dall'interno della nostra fede. Ma la fedeltà
ad essa ci obbliga a iniziarlo dalla periferia e dalle vittime del mondo».
La conclusione potrebbe apparire paradossale, ma di fatto non lo è:
«Ai cristiani non interessa il dialogo come tale, ma sempre a partire
e in funzione, prima di tutto, dei poveri di questo mondo».
Se è vero che «la base comune per il dialogo interreligioso
porta alla struttura stessa dell'essere umano, come un essere aperto a
una realtà che lo trascende», è vero anche che «tale
apertura ha le sue radici nella materialità della vita. Così
- prosegue -una religione sarà più o meno valida nella misura
in cui rende possibile un movimento di trascendenza e di relazione dell'essere
umano per e con Dio. Movimento e relazionalità che presuppongono,
come condizione primaria di possibilità, la soddisfazione delle
necessità materiali delle persone». Perciò - conclude
lo studioso - i bisogni umani della vita umana sono il problema per eccellenza
(non l'unico, né l'ultimo) dell'esperienza religiosa e del dialogo
interreligioso. «Prendere questo sul serio è ciò che
consente e da significato a una teologia della liberazione delle religioni:
una teologia fatta a partire "da" e "in" funzione
dei poveri. Sono loro i giudici nostri e delle nostre teologie!».
Sabrina Magnani
I volti del Dio liberatore
II volume della Emi, che porta il sottotitolo Le sfide del pluralismo
religioso, si apre con una presentazione di Pedro Casaldaliga in cui si
evidenzia il significato di tali sfide. Ne riportiamo una sintesi.
«Tutti noi credenti concordiamo più o meno sul fatto che,
con la fede, facciamo riferimento a un solo Essere supremo. Molti di noi
si troveranno d'accordo pure sul fatto che facciamo riferimento allo stesso
Dio, anche se invocato con nomi diversi... Ma quando si tratta di sistematizzare
e organizzare dal punto di vista intellettuale, morale e del culto le
relazioni o i nuovi legami con questo Dio unico, ci dividiamo, ci allontaniamo
e spesso ci scontriamo (...).
Il concilio Vaticano II giunse finalmente ad ammettere la libertà
di coscienza e riconobbe nelle religioni l'esistenza di spazi di salvezza...
Sono comparsi i teologi pionieri, a volte incompresi e perfino censurati
dalle istituzioni ufficiali... Si moltiplicano i testi, gli incontri,
le dichiarazioni sull'argomento. Il dialogo interreligioso, il macroecumenismo,
il pluralismo religioso sono ancora questioni aperte, da esplorare...
C'è perfino chi dichiara che è "il" tema del giorno
per la riflessione teologica... Si tratta, infatti, di un tema complesso
e nuovo, che va al di là di tutti gli schemi tradizionali...
Mi sembra elementare e fondamentale evidenziare, sempre all'interno d«
dialogo interreligioso, il contenuto e l'obiettivo di tale dialogo. Non
si trai ta di far sedere le religioni in un salotto affinché discutano
sulla religione in maniera più pacifica, chiuse in se stesse, narcisisticamente.
Il vero dialogo interreligioso deve avere come contenuto e come obiettivo
la causa e Dio che è l'umanità stessa e l'universo. E se
nell'umanità la causa priorità ria è la gran massa
dei poveri e degli esclusi, nell'universo sono la terra, l'acqua e l'aria
profanati. La giustizia e l'ecologia, la libertà e la pace, la
vita!»
Con la testa e con il cuore saldamente ancorati alla realtà, Marcelo
Barros scrive: «La via verso la teologia del pluralismo culturale
e religioso in America Latina è quella della base, dell'integrazione
e della solidarietà. Riprendendo un modo di dire comune quando
si parla di pluralismo, questa teologia nuova non è cristocentrica
e ancor meno ecclesiocentrica. Sarà "vita-centrica",
cioè centrata sul progetto di vita per tutti... Oggi più
che ma è opportuno ripetere con Hans Kung che non ci sarà
pace tra le nazioni si non c'è pace tra le religioni, e che non
ci sarà pace tra le religioni, se noi c'è dialogo tra loro.
Va aggiunto che questo dialogo sarà inutile, ipocrita perfino
blasfemo, se non farà riferimento alla vita e ai poveri, ai diritti
umani, che sono anche diritti divini (SM)
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